LA BORSA O LA VITA…. E OGNUNO PER SE

11_eubrokenTra euro-scettici e euro-ottusi si fa una gran fatica a capire qualcosa di questa Europa. I primi ne evidenziano sistematicamente l’inutilità o peggio la dannosità, i secondi la venerano come fosse la Madonna. Siamo di fronte a due schieramenti che sembrano tifosi di un squadra di calcio durante un derby: “rigore per me c’era, rigore per te… arbitro cornuto”.

Ma insomma è proprio vero che questa Europa è cosi insensibile a quello che le sta succedendo ? Apparentemente non del tutto. La BCE ha lanciato un piano di acquisti di titoli di stato senza precedenti e poi sono stati rimossi i vincoli di bilancio quindi proprio insensibile non è. E diciamolo, senza questi interventi le cose sarebbero di molto peggiori.

Però diciamo pure che è non è proprio quello che serviva, anzi alla fine si tratta del classico pannicello caldo sul malato terminale. Inoltre anche questo pochino è arrivato tra mille contrasti e malumori con dichiarazioni scellerate che sono costate alle borse europee 880 miliardi di perdite in un solo giorno.

L’unico vero effetto di questa scellerata gestione è stato far calare al 10% la fiducia delle popolazioni europee nella stessa unione, come dire solo uno su 10 crede che esista ancora un progetto europeo per cui vale la pena spendersi.

Ma facciamo un passo indietro e una premessa; riguarda l’europeismo italiano. Noi siamo stati i più europeisti di tutti fino a ad una ventina di anni fa. Anzi possiamo dire che i primi vagiti ideologici europeisti sono proprio nostri.

La Giovine Europa è infatti la prima associazione politica internazionale ideata da Giuseppe Mazzini per promuovere l’indipendenza e l’emancipazione dei popoli dalla sudditanza ai regimi assoluti. Costituita il 15 aprile 1834, e rappresentò il primo tentativo organicamente concepito di creare una efficiente struttura democratica a carattere sopranazionale. Venne sancita a Berna, da un patto di fratellanza a cui presero parte inizialmente i rappresentanti delle associazioni nazionali: Giovine Italia, Giovine Polonia e Giovine Germania.

Per capire quanto oggi siamo lontani da qualsiasi patto di fratellanza e quanto i singoli stati siano lontani dalla loro stessa creatura basta leggere anche velocemente la carta dei diritti fondamentali dell’unione e poi guardarsi attorno.

Prima ancora che un problema di soldi e un problema di condivisione di sforzi e di intenti e mai come in questa pandemia si è messo in evidenza il vero motto dell’unione : “ognuno per se spassionatamente”.

Prima ancora di riunire il ministri europei delle finanze sarebbe stato lecito aspettarsi la riunione di quelli della sanità. Sarebbe stato utile e da vera unione europea condividere ed applicare regole e strategia per combattere il virus concordate. Non solo utile ma anche più corretto. Si perché sempre prima dei soldi c’è il problema della produzione industriale.

Non essendo stata stabilita una data di chiusura e riapertura delle aziende concordata ed unificata si è da subito scatenata la corsa a chi arriva prima a proporre sul mercato quello che gli altri, i più colpiti, non potranno in quel momento offrire. LA GERMANIA E’ IN TESTA NON AVENDO MAI CHIUSO LA SUA PRODUZIONE INDUSTRIALE !

E sicura del vantaggio, per sbaragliare definitivamente la concorrenza dei “fratelli europei”, ha stanziato miliardi per meglio consentire alla propria macchina economica di non essere raggiunta da altri concorrenti.

Soldi facili, che non fanno fatica a reperire sul mercato a tasso zero si perché il bond tedesco ha interesse praticamente negativo. Detto questo è facile capire la loro ostilità all’emissione di titoli di debito europeo, che avrebbero un tasso basso come il loro e che fornirebbero un vantaggio competitivo forte agli altri paesi della UE.

Non so dire se questo sia il capolinea di questa strana associazione chiamata unione europea ma pur non essendo un fatalista sono convinto che nella vita, per qualche strano motivo ad un certo punto, siamo spinti con forza in una direzione che avremo già dovuto prendere da tempo.

Non è facile prevedere quanto potrà succedere e definire degli scenari geo-politici-economici è roba da fantascienza in questo momento. Il motivo è semplice, temo che il peggio deve ancora venire. Paragonando il covid-19 ad uno tsunami quello che abbiamo visto finora è solo la parte in cui le acque si ritirano, poi arriverà l’onda alta, veloce, devastante.

Una piccola idea ? Gli USA sono passati in pochi giorni dalla disoccupazione più bassa dal dopoguerra ad oggi, a quella del 1930 ! Tutto quello che oggi sembra impossibile addirittura pensare potrebbe domani essere quasi anelato.

Che tristezza che questa Europa non la ami proprio nessuno. Non la vogliono gli americani, non la vogliono i Russi, non la vogliono i Cinesi ma peggio che peggio, non la vogliono gli Europei. Purtroppo per noi e per tutti gli abitanti di questi continente, senza unione rischiamo di essere spazzati via o relegati in un angolo economico piccolissimo. Non ci sarà piano economico che tenga, se tutto dipenderà dagli sterili bilanci dei singoli stati.

Nessuno può dire in che direzione venga effettivamente spinta l’Europa. Può darsi che con il peggiorare della situazione si arrivi veramente a fare squadra quanto meno solo perché salvando tutti salviamo anche noi stessi, ma potrebbe anche vincere la becera cecità di una classe politica meschina. Americani, Russi e Cinesi sono già in pista e ci stanno lisciando il pelo per cercare di portarsi a casa il pezzo di terra più ambito del mondo… il nostro ovviamente.

I PADRONI DELLE AUTOSTRADE

 

LE REGOLE SCRITTE MALE PER FAVORIRE SEMPRE GLI AMICI DEGLI AMICI

Le accuse del governo alla società Autostrade hanno riportato di attualità il tema della privatizzazione delle concessioni, il meccanismo con il quale alla fine degli anni Novanta venne affidata ai privati la gestione di gran parte della rete autostradale italiana. Ho sempre criticato questo sistema, critica condivisa da esperti più qualificati di me, sostenendo che permetteva ai gestori delle autostrade di arricchirsi senza rischi e senza l’obbligo di fare sufficienti investimenti sulla rete autostradale. In molti ora si domandano se il sistema delle concessioni non abbia contribuito anche all’incidente di Genova, e il ministro Toninelli ha suggerito che in futuro lo stato potrà prendere il posto dei privati.

Le autostrade italiane, comprese quelle gestite da Autostrade per l’Italia, sono un bene di proprietà dello stato, ma sono state spesso gestite da società “concessionarie” che gestiscono la rete autostradale e ne raccolgono i profitti pagando in cambio un canone allo stato. Fino non molti anni fa queste società erano a loro volta pubbliche: proprietà degli enti locali oppure dell’IRI (una società controllata dal ministero del Tesoro che aveva il compito di controllare numerose altre società pubbliche). Essendo società pubbliche, lo stato era molto generoso con loro. Le concessioni venivano allungate senza gara e ai concessionari venivano offerte condizioni molto favorevoli, così che i bilanci di IRI e degli enti locali proprietari rimanessero in ordine (e magari i guadagni potevano essere utilizzati per coprire magagne da altre parti).

Con la crisi degli anni Novanta lo stato si ritrovò però con un enorme debito pubblico da gestire e senza più le risorse necessarie a finanziarie i continui investimenti necessari a migliorare la rete. Venne quindi deciso di privatizzare alcune concessionarie, in modo da un lato di fare cassa e dall’altro di sfruttare capitali privati per i nuovi necessari investimenti. La più importante tra le società che furono privatizzate fu la Società Autostrade, di proprietà dell’IRI, che controllava in tutto 3 mila chilometri di autostrade, metà dell’intera rete del paese, tra cui l’A1 Autostrade del Sole, da Milano a Napoli, un tratto della A4 tra Milano e Brescia, l’intera A14, da Bologna a Taranto, e il tratto dell’A10 tra Genova e Savona, quello sui cui, nel 1967, era stato costruito il Ponte Morandi. Le concessioni su queste tratte sarebbero scadute soltanto nel 2038 e c’erano possibilità di allungarle ulteriormente.

Ad ottenere il controllo della Società Autostrade all’inizio del 2000 fu la famiglia Benetton, un gruppo di industriali della moda che grazie al successo del loro marchio si erano trasformati in finanzieri con società che si occupavano anche di altro. Grazie alle loro buone relazioni con le banche, alla loro capacità di creare alleanze con altri gruppi industriali ed alcune abili e spregiudicate operazioni finanziarie, i Benetton riuscirono in pochi anni a ottenere il controllo totale della Società Autostrade (tirando fuori pochissimi soldi di tasca propria e finanziando gran parte dell’operazione a debito).

Dopo una serie di fusioni e consolidamenti, nel 2002 la società divenne Autostrade per l’Italia, un colosso che oggi fattura 4 miliardi di euro all’anno e produce 900 milioni di euro di utile per il suo azionista, la società Atlantia, controllata dalla famiglia Benetton. I Benetton riuscirono nell’operazione che cambiò completamente il loro gruppo (oggi il marchio Benetton – quello della moda – vale meno di un decimo della società autostradale) non solo grazie alle loro buone relazioni, ma anche perché quello in autostrade era considerato un investimento sicuro più che un’impresa che poteva comportare dei rischi. Non fu difficile, quindi, raccogliere i capitali e gli alleati che servivano alla famiglia per realizzare l’investimento.

Le autostrade sono infatti un monopolio, un’impresa senza concorrenti e quasi senza rischi. Chi vuole andare in macchina da Roma a Firenze non ha scelta se vuole viaggiare in tempi accettabili: deve prendere l’autostrada. Di fatto il gestore deve solo limitarsi a riscuotere i pedaggi e a rispettare gli obblighi imposti dallo stato: ad esempio una quantità minima di investimenti nella rete e il rispetto degli standard di manutenzione.

Per lungo tempo, i dettagli di queste condizioni sono rimasti segreti. Domanda : “perchè?” Soltanto lo scorso gennaio il ministero delle Infrastrutture e dei Trasporti ha deciso di rendere pubblici gli atti che regolano i rapporti tra stato e concessionari. Alcuni dettagli importanti, però, rimangono ancora oggi segreti. L’Autorità dei trasporti, che ha bisogno di questi dati per valutare l’operato dei concessionari, lamentava già nel 2015 la mancanza di dati che riguardano «gli investimenti aggiuntivi che si intendono fare da quelli già previsti nelle convenzioni in essere e non realizzati», un elemento fondamentale per comprendere se i concessionari stanno o meno rispettando i patti.

Anche a causa di questa mancanza di supervisione pubblica il sistema non è riuscito nei suoi obiettivi: negli anni gli obblighi si sono attenuati o non sono stati fatti rispettare. I governi hanno fatto sconti e favori a gruppi come quello dei Benetton, mentre i concessionari hanno effettuato pochissimi investimenti. Nel frattempo le tariffe autostradali sono aumentate, i concessionari si sono arricchiti, ma il servizio offerto è rimasto, sostanzialmente, immutato.

Nel complesso, i risultati conseguiti dalla regolazione delle autostrade italiane dal 1997 ad oggi sembrano davvero fallimentari. Non si ha evidenza di miglioramenti significativi nell’efficienza di costo, al di là dell’applicazione di sistemi automatici di esazione già avviati nel periodo precedente (e i costi delle nostre concessionarie sembrano molto maggiori di quelli francesi). Gli investimenti previsti, sulla base dei quali le concessionarie ottennero nel 1999 lunghe proroghe delle concessioni e incrementi di tariffa, non sono stati realizzati se non in piccola parte. Le concessionarie hanno invece registrato enormi extraprofitti. ( Giorgio Ragazzi, professore di economia e autore del libro “I padroni delle autostrade”).

Le concessioni e l’incidente
Le ragioni di questo trattamento apparentemente di favore sono varie e in parte non ancora del tutto indagate. Secondo i critici, i governi hanno spesso chiuso un occhio di fronte agli sproporzionati guadagni dei concessionari in cambio dell’impegno dei loro gruppi industriali su altri fronti. Altrettanto difficile da determinare è se il sistema delle concessioni abbia comportato un abbassamento nella qualità dei controlli di sicurezza.

Nei tratti autostradali in concessione spetta ai privati la verifica delle condizioni di sicurezza e gli interventi di manutenzione. Questo significa che i responsabili del tratto della A10 su cui si trovava il ponte Morandi sono i dirigenti e gli azionisti di Autostrade per l’Italia. Ma per condannarli a pagare una multa o per revocare loro la concessione, come chiede di fare il ministro Toninelli, bisogna dimostrare che la società ha commesso una colpa grave nella gestione del ponte, ma riuscire a dimostrarlo è «estremamente improbabile» visto che «la società ha regolarmente rispettato i piani di controllo ed intervento stabiliti in accordo con il ministero dei Trasporti».

C’è un sostanziale accordo da parte degli esperti sul fatto che Autostrade per l’Italia abbia svolto tutti i controlli necessari per la legge, un’affermazione che i manager della società hanno ripetuto più volte. Alcuni però ritengono che questi controlli non fossero sufficienti. «Autostrade è, di fatto, l’unico controllore di sé stesso – hanno scritto Roberto Sculli e Matteo Indici sul quotidiano genovese Secolo XIX – esegue con personale proprio ispezioni e (auto)certificazioni, oppure le affida a consulenti pagati dalla medesima società. Nessun ente pubblico compie screening autonomi, perversione d’una norma le cui conseguenze possono essere catastrofiche».

Che obblighi di vigilanza aveva Autostrade per l’Italia? Chi esegue le verifiche? Quanto può metterci il naso lo Stato? Poiché il viadotto è stato realizzato nel 1967, il gestore non deve fornire un piano di manutenzione (il diktat vige per chi ha in carico le strutture nate dal ‘99 in poi). Non solo. Autostrade esegue per legge due tipi d’ispezione, certificate una volta compiute: trimestrale con personale proprio (controlli sostanzialmente visivi) e biennale con strumenti più approfonditi. In quest’ultimo frangente, al massimo, la ricognizione viene affidata a ingegneri esterni, ma alla fine sempre pagati da Autostrade. Né gli enti locali, né il ministero delle Infrastrutture intervengono con loro specialisti. E di fatto non esistono certificazioni di sicurezza recenti che non siano state redatte da tecnici retribuiti da Autostrade per l’Italia.

Il medioevo al tempo di internet

SIETE PRONTI a vivere in un nuovo Medioevo? Preparatevi, perché è quello che ci aspetta.

il XXI secolo assomiglia sempre più al XII, al Medioevo, anche se nessuna analogia è perfetta e la storia pur ripetendosi non è mai uguale a se stessa. Nel Medioevo il pezzo mancante era l’America proprio quella parte di mondo dove oggi si studiano le strategie per affrontare le turbolenze mondiali.

La storia era pre-Atlantica, però altri riferimenti reggono: l’Occidente e l’Oriente allora conosciuti erano entrambi potenti, la dinastia Song in Cina inventava il denaro nella forma cartacea che ancora conosciamo, l’impero indiano del Sud governava i mari dall’Africa orientale all’Indonesia, il modo arabo-islamico era al massimo del suo splendore, dominando dall’Andalusia all’Asia centrale, mentre il Sacro romano impero viveva un periodo di incertezza e instabilità. La globalizzazione in fondo inizia con i viaggi di Marco Polo, muovendo i primi passi del suo cammino in un mondo frammentato.

E oggi a che punto siamo? A partire dal 11 Settembre e dall’ultima crisi finanziaria globale, il quadro è di quelli che fanno tremare i polsi: “Oggi i poteri che ci aspetta mantengano la pace sono i maggiori produttori di armi, le banche che dovrebbero incoraggiare il risparmio promuovono un tenore di vita oltre i propri mezzi e gli alimenti arrivano alle popolazioni affamate dopo che sono morte. Ci stiamo dirigendo verso una tempesta perfetta di consumo di energia, crescita della popolazione e scarsità di cibo e di acqua che non risparmierà nessuno, ricco o povero”. All’elenco si possono aggiungere ancora l’Aids, l’instabilità finanziaria, il terrorismo, Stati a rischio fallimento: “Nel giro di vent’anni potremmo vedere le schermaglie fra America e Cina evolvere in veri conflitti, ulteriori stati deboli crollare, battaglie per il controllo di combustibili e gas nelle profondità marine, popolazioni in fuga dall’Africa centrale, e le isole del Pacifico andare a fondo”.

Per citare Henry Kissinger: “Non si disegna un nuovo ordine mondiale come misura di emergenza. Ma c’è bisogno di un’emergenza per produrre un nuovo ordine mondiale”. Pare che siamo vicini a quel punto. Ipotizzare un asse G2 tra Stati Uniti e Cina è sbagliato: “Ignora il fatto che i due poteri non possono trovarsi d’accordo su moneta, clima, censura e molti altri argomenti e che pochi, nel mondo, vogliono essere governati dagli Usa o dalla Cina”.

Sospetto che la politica e le istituzioni centrali con il tempo conteranno sempre meno. Non è a mio avviso percorribile la strada di un rafforzamento della responsabilità dell’America, né delle Nazioni Unite, «di cui ormai nessuno parla più». Già oggi alcuni personaggi influenti come Bill Gates, Bono, Brad Pitt e Angelina Jolie possono contare più delle grandi organizzazioni: “Ci sono duecento nazioni nel mondo che hanno relazioni fra loro, centomila società multinazionali che negoziano con i governi e fra loro, e almeno 50 mila organizzazioni non governative che intervengono nelle zone di conflitto per fornire assistenza a governi e popolazioni in stato di necessità”. Il futuro non è dunque in grandi istituzioni che rappresentino tutti, ma in organizzazioni più piccole che rappresentino se stesse in contesti “regionali”.

La famosa “interdipendenza”, è molto di più di una parola alla moda, ma contrariamente a quanto si pensa, si tratta di una constatazione e non di una strategia.  Una perpetua elasticità, non una governance rigida, è la strada che nazioni, economie e comunità devono perseguire. Funzionerà? Forse.

Il Medioevo, comunque, non è stato solo un’epoca buia, e da lì è sgorgato il Rinascimento. Soccorre un pensiero di Winston Churchill: “Sono un ottimista. Essere qualcos’altro non sembra molto utile”.

 

 

 

Quel pasticciaccio di Downing Street

LA FINE DI UN’ERA

Cominciano a vedersi i primi effetti della decisione del Regno Unito di uscire dall’Unione Europea, che segna non soltanto l’inizio della fine del processo d’integrazione europea, ma anche un chiaro rigetto dei ceti medi e bassi delle politiche economiche liberiste degli ultimi anni.

Finora non vi sono segnali che confermino le paventate conseguenze nefaste di questo voto sull’economia britannica. La borsa di Londra sta facendo meglio di quelle europee e il deprezzamento della sterlina è destinato ad avere un effetto tonificante sulla bilancia commerciale del Regno Unito.

Anche più a lungo termine le previsioni catastrofiche sembrano totalmente ingiustificate, a tal punto che sia il Fondo  monetario internazionale sia un numero crescente di economisti cominciano a fare marcia indietro e a prospettare scenari rosei. Infatti appare già evidente che l’unione europea non sarà in grado di assumere un atteggiamento punitivo nei confronti di Londra. Le trattative per definire i termini del divorzio dureranno a lungo, probabilmente più dei due anni previsti dal trattato di Lisbona, e seguiranno il  modello degli accordi bilaterali conclusi dalla Svizzera con Bruxelles, che però contemplano anche una qualche forma di limitazione sulla circolazione delle persone. I segnali distensivi, soprattutto quelli provenienti dalla Germania sono chiari.

Più cupe sono invece le prospettive dell’Unione europea. Le incognite non riguardano solo le consultazioni elettorali di inizio autunno (presidenziali in Austria, referendum sui rifugiati in Ungheria e referendum costituzionale in Italia), ma soprattutto le prospettive economiche. Nel vecchio continente si è riaperta la crisi del sistema bancario. Contrariamente a quanto si possa pensare questa non riguarda soltanto la fallimentare situazione di molte banche italiane, ma soprattutto i problemi di molte banche europee, che finora erano stati occultati nelle pieghe dei bilanci. Per evitare una crisi del sistema bancario italiano, Bruxelles permetterà in qualche modo a Roma di ricapitalizzare le banche in difficoltà facendo così carta straccia delle regole comunitarie entrate in vigore solo all’inizio di questo anno.

Maggiormente rischiose sono le posizioni di quei colossi bancari che il fondo monetario internazionale ha dichiarato presentare un rischio sistemico. Tra queste primeggia tristemente Deutche Bank che ha un’esposizione in strumenti derivati corrispondenti a nove volte il PIL tedesco. Segue (udite udite) l’insospettabile colosso bancario svizzero Credit Suisse, le cui azioni sono scese proprio ieri al di sotto della soglia dei 10 franchi. Ai rischi posti dal settore bancario si aggiungono una crescita che continua ad essere anemica e il mancato rispetto degli obiettivi di bilancio di Spagna e Portogallo. Insomma il voto britannico  ha fatto si che si mettesse in moto un processo di disgregazione  su un’Unione europea già afflitta da una perdurante crisi economica e dal riaprirsi di una crisi bancaria.

La Brexit ha comunque prodotto dei risultati certi. ad esempio ha definitivamente affossato il trattato di libero scambio transatlantico denominato TTIP, ponendo la parola fine sui tentativi di rilanciare la globalizzazione .

In conclusione, le conseguenze del voto britannico sono destinate ad essere ben diverse da quelle paventate per convincere gli inglesi a rimanere nell’Unione europea. Esse segnano molto probabilmente la fine di un’era economica dominata dai dogmi della globalizzazione e dal predominio della finanza. Insomma segnano un nuovo inizio e non solo per il Regno Unito.

Io sono Leggenda

 

Dai politici agli sportivi, passando per le star di Hollywood, l’egocentrismo è imperante e raccoglie un numero sempre maggiore di adepti. Uno dei suoi stellari esponenti, un vero pontefice dell’ego, è sicuramente l’allenatore  Josè Mourinho, emblema del “viè qua che te spiego io come funziona” che davanti ai giornalisti ammise con tracotanza : “Sono antipatico ? Beh anche Gesù non piaceva a tutti”.

Una roba da far impallidire anche il Marchese del Grillo, alias Alberto Sordi, con la sua celebre e scurrile uscita, qui non ripetibile, che continua a rappresentare a distanza di anni, il “Top” dell’arroganza almeno al cinema.

Tornando al mondo del calcio, l’ego-superbia è il marchio di fabbrica anche di Zlatan Ibrahimovic che, ufficializzato l’addio al Paris Sant Germain, ha salutato i tifosi su Twitter mantenendo un profilo basso, bassissimo, quasi livello tappeto: “Sono arrivato da Re, me ne vado da Leggenda”, con le maiuscole a rafforzare un messaggio che rischiava in effetti di non essere abbastanza chiaro ed efficace.

Politi e potenti, pure loro, non fanno eccezione quanto a immodestia: capostipite è – ca va san dire –  Luigi XIV, Re Sole ( già dal soprannome si poteva intuire), che pronunziò appena adolescente  la ficcante e definitiva auto-elevazione : “Lo stato sono io”. Più di recente Vladimir Putin ha dato dimostrazione di carisma, per usare un eufemismo, confessando di non aver mai letto una delle sue tante biografie “perchè credo di conoscere tutto quello che c’è da sapere su me stesso”. Un’ironia invero sottile, lasciata cadere con understatement a margine della presentazione dell’ultimo libro su di lui scritto dal giornalista tedesco Hubert Seipel. E mentre l’autore firmava alcune copie del volume, il presidente russo ha sussurrato ai cronisti: “Se ha scritto la verità, Hubert avrà ciò che si merita” (che potrebbe anche voler dire: “Se non lo ha fatto, verra spedito in un gulag siberiano).

Ma l’ego smisurato regna soprattuto a Hollywood: la deliziosa Scarlett Johansson si è da poco fatta tatuare la scritta “lucky you”, spegando che chi avrà la fortuna di leggerla da vicino sarà, appunto, l’uomo più fortunato del mondo. Pura egolatria epidermica ma in questo caso, come darle torto ?

Ed infine ci sono io che dal famoso “chi è più bello de me se trucca” sono passato per ragioni di età ad un più adeguato “ne resterà uno solo…. IO.

 

 

 

Che cos’è oggi la Finanza ?

Cominciamo col dire cosa non è più: ovvero, una sovrastruttura derivata dai rapporti di produzione. Oggi, la finanza è – a tutti gli effetti – la struttura stessa del paradigma produttivo. Il risparmio globale è il cuore dell’attuale modello di accumulazione. Grandi capitali allocati in fondi sovrani e non, alcuni dei quali accumulati off shore dalle platform companies, detengono la proprietà di aziende, di rilevanti quote dei debiti sovrani, di brevetti tecnologici o farmaceutici; questi fondi controllano il risparmio privato e tendono a sostituirsi al welfare. Soprattutto in Europa, formazione, trasporti, pensioni non sono più ambiti della vita tutelati dalla titolarità di diritti, bensì sono diventati un terreno di estrazione di valore. Oggi, la ricchezza delle nazioni è in mano ai fondi. La finanza è questo: un gigantesco dispositivo – autogeneratosi – di controllo capillare e pervasivo. Ora i risparmi gestiti seguono strade tracciate, percorsi indicati dalle agenzie di rating e sanciti dagli schemi del benchmarking. È evidente come in un simile quadro stia sfumando la centralità delle banche d’affari. Da più parti si parla una “lingua di legno”, inutile a comprendere le profonde trasformazioni dei mercati finanziari. Il principio del “Too big to fail”, con cui l’amministrazione repubblicana uscì dal credit crunch, è superato. Come superata è una certa retorica militante: la propaganda contro le grandi banche. Attualmente le banche d’affari svolgono una funzione d’intermediazione del rischio ma hanno perso la centralità che detenevano fino alla fine dello scorso decennio. Per non parlare del pubblico come gestore del risparmio privato che ha fallito il suo compito. Mi riferisco a soggetti molto aggressivi, non più legati ai territori. E davanti a una simile realtà, le filiali delle banche ricordano i Blockbuster degli anni Novanta: reperti archeologici di un’epoca passata. E allora le banche cosa stanno facendo ? Stanno disinvestendo dalle attività tradizionali per investire nel risparmio gestito.

E poi c’è la politica monetaria globale che va considerata come il più raffinato strumento di riequilibrio delle crisi e, al tempo stesso, come architrave di un ordine sociale pacificato. La moneta non è più un’astrazione, bensì uno strumento di controllo, garanzia di precisi assetti. Le parole Fiat money, cardine dei diversi Quantitative easing che hanno segnato la più recente stagione finanziaria, costituiscono la formula magica che ci mette al riparo dagli effetti più acuti, e indesiderati, dei cicli economici. E ci consente di distinguere tra Paesi virtuosi e Stati non “allineati”. Il Fiat money, infatti, funziona solo per Paesi credibili, ma la credibilità non è un algoritmo neutro. La credibilità è un algoritmo che ci appartiene.

Tutto Descrive dei congegni capaci di produrre effetti dichiaratamente politici. È lecito chiedersi cosa rimanga a questo punto della democrazia.

Il portafoglio Perfetto

È un po’ come l’uovo di Colombo del risparmio: un portafoglio “ideale”, buono per tutte le stagioni, che possa garantire rendimenti soddisfacenti con un gestione oculata del rischio. Quello che potrebbe apparire un sogno è in realtà più semplice di quanto possa sembrare. Ma una premessa è d’obbligo: in finanza non ci sono certezze matematiche. Le azioni non danno rendimenti garantiti e anche i titoli di Stato più sicuri sono sempre esposti al rischio ipotetico di default. Il pioniere degli studi del portafoglio “perfetto” (il permanent portfolio) è stato uno statunitense, Harry Browne, ex analista finanziario e politico liberale morto nel 2006.

L’assunto di fondo di questa teoria è quello della massima diversificazione. I mercati finanziari sono dei grandi vasi comunicanti: essere presenti contemporaneamente in tutte le asset class è un fattore di garanzia e protezione. Il portafoglio perfetto quindi è suddiviso in quattro parti: il 25% in azioni, il 25% in oro, il 25% in titoli governativi a breve e infine il 25% in titoli governativi a lungo. Tutto qua. Si tratta di una ripartizione sostanzialmente perpetua: che non impone stravolgimenti e che affronta le varie condizioni di mercato forte del principio della diversificazione.

La logica del portafoglio permanente (o perfetto) è quella di acquistare delle asset class nel lungo termine, facendo pochi accorgimenti. Insomma è statisticamente dimostrato che il trading nella stragrande maggioranza dei casi non paga.

Per gestire un portafoglio servono gli stessi concetti usati da un imprenditore per la sua azienda, tra questi c’è la diversificazione con controllo del rischio e l’attenzione alle opportunità».

Applicare la ripartizione del portafoglio “perfetto” scegliendo le seguenti categorie: l’indice tedesco DAX 30per le azioni, l’oro, il CTz italiani (zero coupon) per i titoli a breve e il Bund tedesco decennale per i governativi a lunga. I titoli di Stato italiani e tedeschi possono essere acquistati sul mercato secondario, mentre oro e Dax possono essere replicati con gli Etf.

Si tratta di un portafoglio che ha anche bassi costi di commissioni. Tra il 2000 e il 2012 questo portafoglio ha avuto un rendimento medio dell’8,2%, con un’eccellente performance anche i relazione a volatilità e costi. «Detenere in maniera equilibrata questi quattro asset è una garanzia per ogni fase di mercato, dalla contrazione all’accelerazione. C’è sempre una coppia di asset che funziona abbastanza meglio delle altre permettendo una rivalutazione del portafoglio in generale. E ogni qual volta c’è una crisi specifica su un asset ci sono almeno altri due strumenti capaci di controbilanciare questo effetto negativo».

Insomma, il principio della diversificazione e dei vasi comunicanti appare l’unica arma possibile per muoversi in mercati finanziari sempre più imprevedibili. Ovviamente si tratta di un portafogli con un’ottica di medio e lungo periodo. È opportuno mettere in conto dai tre ai cinque anni per vedere sviluppare a fondo i suoi effetti.

I MERCATI E IL VIZIO DI INGORDIGIA

Olle-banksIn questo fine settimana sono alle prese,  con l’analisi macroeconomica dei mercati e del rischio portafoglio , ma sopratutto sono alle prese con L’INGORDIGIA. infatti la scorpacciata di RENDIMENTI E PROFITTI di questo mese di gennaio non ancora finito è unica e direi difficilmente ripetibile. Assets difensivi come il franco svizzero che si rivalutano del 20% in 30 giorni non è un evento che ti capita di vivere spesso, se poi a questo aggiungiamo il dollaro, lo yuan, le valute dei mercati emergenti e non da ultimo il mercato azionario…possiamo affermare che un gennaio così non capiterà mai più.

Questa situazione di SUPERPROFITTO è sicuramente comune a tutti coloro che come noi operano regolarmente sui mercati finanziari MA…

 Penso che un sogno così  non ritorni mai più,

mi dipingevo le mani e la faccia di blu,

poi d’improvviso venivo dal vento rapito,

e incominciavo a volare nel cielo infinito.

Ma tutti i sogni nell’alba svaniscon perchè,quando tramonta la luna li porta con se.

 Quando accadono eventi come questi di pura euforia finanziaria QUALI SONO RISCHI MAGGIORI?

Certamente non quelli di capire cosa faranno i mercati. Infatti il controllo del rischio di portafoglio è una delle attività più semplici grazie alla scelta di avere portafogli con un rischio basso e l’utilizzo di stop alle perdite sistematico. Chi vive come noi di mercato sa che deve predisporre una impalcatura consona alle sue aspettative  e al suo grado di rischio e questa impalcatura deve reggere se la struttura di portafoglio non va nella direzione voluta.

l’asset allocation deve essere costruita partendo da una assunzione di un grado di rischio (basso- medio- alto) e da una analisi macroeconomica in base alla quale costruire un PORTAFOGLIO. Rischio, andamento delle variabili macro (loro scostamento dalle attese) , e andamento delle performance devono essere in armonia, OGNI VOLTA CHE L’ARMONIA VIENE MENO SI DEVE INTERVENIRE.Ebbene, in queste settimane l’armonia è stata bruscamente interrotta e la mia analisi macroeconomica non si è rivelato solo corretta ma PURE AMPLIFICATA ….. Il mio portafoglio ha dato risultati MOLTO migliori delle attese nel rispetto del rischio.

 A QUESTO PUNTO CHE FARE?

 PRIMA DI TUTTO SI DEVONO EVITARE DUE RISCHI:

 L’INVINCIBILITA’ E L’INGORDIGIA

 COMPLESSO DI INVINCIBILITA’: quando tutto, ma proprio tutto va bene (persino il rublo è tornato ai valori del 30 dicembre)…si tende a considerarsi dei super eroi. Può iniziare una pericolosa deriva : quella di considerarsi invincibili e si tende ad accentuare pericolose tendenze. AUMENTA LA SICUREZZA DEL PROPRIO CREDO, AUMENTA L’ESPOSIZIONE ALLE PROPRIE IDEE, SI RIDUCE L’ATTENZIONE AI PERICOLI E ALLE INCERTEZZE SISTEMICHE, SI SOTTOSTIMANO LE AVVISAGLIE DI FUTURI PERICOLI. Si va avanti con estrema SPAVALDERIA…

VIZIO DI INGORDIGIA: il profitto facile può creare il desiderio di farne di più e può portare a NON ACCONTENTARSI, a  voler strafare e straguadagnare. Faccio un esempio semplice con il dollaro. Partendo da un anno fa ho sostenuto che in due o tre anni si sarebbe potuti arrivare alla parità con l’euro (per una serie di motivazioni macroeconomiche che allora spiegai). Oggi, a distanza di soli 12 mesi siamo arrivati a 1,12 ..e lo abbiamo fatto a velocità impressionante. E allora ti senti invincibile e tieni i tuoi dollari stretti stretti e FAI L’INGORDO continui ad aumentare il target dei profitti e ti autoconvinci che la parità è dietro l’angolo, ti dimentichi che l’economia Usa difficilmente potrebbe sopportare un cambio tale in così poco tempo, e se dovesse capitare, da un lato è poco probabile  e dall’altro le motivazioni di un tale accadimento potrebbero avere motivazioni pericolosissime per la stabilità del mondo economico e di conseguenza DEL PORTAFOGLIO STESSO.

Questo fine settimana mi serve per analizzare freddamente la situazione…STERILIZZARLA (parola di moda presso la Bce) DAL COMPLESSO DI INVINCIBILITA’ E DAL VIZIO DI INGORDIGIA e rivedere l’asset allocation. La revisione dell’asset allocation non deve avvenire tutti i santi momenti, MA SE NON LO FAI IN QUESTI PARTICOLARI MOMENTI DI MERCATO SEI POCO FURBO …SEI NON ATTENTO A DINAMICHE E CAMBIAMENTI EPOCALI DI MERCATO.

tutto sommato ci si deve ricordare che

1)  il 2015 è appena iniziato,

2)  che non esistono più rendimenti obbligazionari ,

3) che sarà un anno volatile e quindi si dovrà saper attendere certi eccessi per INVESTIRE

4) che si dovranno assumere rischi più alti rispetto al recente passato e diventa fondamentale controllarli.

NON SON ROSE E NON FIORIRANNO.

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Premetto che a parer mio quanto deciso ieri dalla BCE va nella direzione corretta. insomma decisamente meglio questo QE della fine dell’euro. Abbiamo 18 mesi di tempo (i primi saranno i migliori) per cercare di approfittare del cambio favorevole, dei tassi bassi e del petrolio a buon mercato e dell’expo…per spingere sulla crescita, su tasse di successione, su diminuzione della spesa pubblica e su riforme. questa volta ci sono tutti gli ingredienti per tentare di rimettere in moto un auto in panne…

 

Nel frattempo il costo da interessi del debito pubblico dovrebbe crollare, i consumi salire e con essi il profitto di impresa…tutto questo farebbe aumentare le entrate fiscali in una spirale (speriamo positiva) per l’italia e l’Europa.

 

Devo però correttamente evidenziare i lati oscuri e non positivi del QE nel suo quadro d’insieme, che nasconde seri rischi di fallimento. Nella peggiore delle ipotesi avete 18 mesi di tempo per andarvene comunque dall’Italia (soluzione da me adottata)

 

Il buco nero di questa manovra è che

 

La Bce si tiene fuori dal rischio, scaricando quasi tutto sulle spalle delle Banche Centrali Nazionali

In attesa che la BCE renda pubblici le technical features dell’annunciato Quantitative Easing, alcuni aspetti interessanti possono essere già delineati.

La BCE ha deciso di acquistare titoli (adesso vedremo di che tipo) al ritmo di 60 miliardi di euro al mese da Marzo 2015 a Settembre 2016 ( per un totale di 1.140 miliardi di euro) o, in subordine, sino a quando l’inflazione nell’Eurozona si stabilizzerà al disotto ma comunque in prossimità del 2% annuo.

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Di tutti i miliardi messi in campo dalla BCE:

– il 12% sarà impegnato nell’acquisto dei titoli emessi da alcune istituzioni europee come il MES e la BEI. Il rischio inerente detto 12% sarà interamente caricato sulla BCE;

– l’ 88% dei fondi restanti del QE, saranno impegnati in Abs, Covered Bonds, Titoli di stato.

Il rischio di questo 88% sarà accollato per l’ 8% alla Banca Centrale Europea e per l’80% alle Banche Centrali Nazionali.

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Veniamo ora alla questione dei titoli di stato, degli abs e dei covered bonds (che rientrano nell’ 88% spendibile al netto del 12% destinato al Mes, alla Bei ecc.). Fatto 100 l’importo dei titoli di debito sovrano, di abs, di covered bonds acquistabili, le garanzie richieste alle Banche Centrali Nazionali, non sono 80, bensì 92: perché? Perché del 20% di rischio accollato dalla BCE, solo l’ 8% riguarda i titoli di cui sopra. Quindi, limitatamente a detti strumenti finanziari, l’8% di rischio graverà sulla BCE ed il 92% sulle BCN.

Dalle informazioni ad oggi disponibili, cosa possiamo dedurre?

  • Con certezza sappiamo che il 12% della massa totale di acquisti riguarderà titoli emessi dal Mes (Meccanismo Europeo di Stabilità), dalla Bei (Banca Europea per gli Investimenti), ecc.
  • Con certezza sappiamo che l’88% sarà ripartito tra Abs, Covered Bonds, Titoli di Stato. L’ 8% dei rischi sono a carico della BCE, il restante 80% è a carico delle Banche Centrali Nazionali.
  • Gli acquisti di titoli (di stato, abs, covered) è proporzionato alle quote che ogni banca centrale nazionale detiene nel Capitale BCE. LA BCN italiana, quanto ne detiene? Circa il 12%. Quindi di questi 1000 miliardi, all’Italia ne spetteranno, approssimativamente, 120 da ripartire in base ai parametri che stabilirà la BCE tra abs, covered e titoli di stato (questi ultimi sul mercato secondario). 120 miliardi rientrano nel limite -reso noto da Draghi nel corso della conferenza stampa- del 33% del debito pubblico italiano? Sì. Suppongo che di questi 120 miliardi, 14,40 (il 12%) siano destinati ad acquistare titoli delle istituzioni europee (i titoli sono infatti acquistati dalle BCN ma a rischio BCE) e che i restati 105,6 miliardi (l’ 88%) siano destinati al finanziamento del debito pubblico italiano. Poniamo che nel corso della durata del QE il Ministero delle Finanze faccia 4 aste da 105, 6 miliardi l’una (gli importi sono semplicemente d’ausilio alla comprensione del meccanismo), quindi provveda a realizzare 4 emissioni; il Qe consentirebbe di acquistare, al massimo, 26,4 miliardi di titoli del debito pubblico per singolo collocamento.
  • Qual è la quota di rischio assunta dalla BCE nei confronti del nostro paese in questo piano per abs, covered e bonds sovrani? 8% (rischio centrale) per quota massima di acquisti (pari alla partecipazione della nostra banca centrale al capitale della BCE) 12,3108= 98,4864/100= 0,984864%.

A tanto ammonta l’azzardo della BCE sul nostro paese !!!

 Mentre le banche centrali devono acquistare per forza nei limiti di cui sopra (anche i titoli europei che saranno detenuti dalla BCE), le banche che venderanno i titoli, non sono obbligate a prestare i soldi incassati dalla vendita all’economia reale: possono farlo ma non sono obbligate. Chi lo dice? Il sito della BCE.

 Se dei paesi periferici non si fida la BCE perché dovrebbero fidarsi i mercati?

SETTEMBRE !!!

Oggi inizia il mese di settembre che solitamente non è amico delle borse. Ci sono alcune cose importanti che devono essere tenute presenti. Proviamo a fare il punto della situazione:

1) I tassi di interesse in queste settimane sono scesi in maniera significativa, in particolare in Europa. (in America IL DECENNALE è al 2,34%, ma quello che è sceso in maniera molto significativa è il bund tedesco che è sceso a 0,90%.L’Italia ha goduto sia della discesa dei tassi tedeschi che della riduzione dello spread, il risultato è un decennale italiano che rende il 2,43%. Naturalmente il merito dell’Italia è pari a zero, in quanto il movimento è europeo (i bonos spagnoli sono al 2,23%).

2) la forte riduzione dei tassi nel mese di agosto (Italia dal 2,80% al 2,43% e Germania dal 1,20 al 0,90%) non ha portato un rialzo delle borse europee. Il dax ai primi di luglio era intorno ai 10.000 punti e ha chiuso agosto sotto i 9500 punti. Per non parlare dell’Italia che è sotto del 6% dai valori di inizio luglio.

INSOMMA, LA FORTE DISCESA DEI TASSI NON E’ STATO SUFFICIENTE A TENERE LE BORSE EUROPEE SUI MASSIMI.

3) Il franco svizzero torna sotto pressione. Le buone esportazioni svizzere in salita contro le esportazioni tedesche in discesa unite al fatto che i rendimenti dei titoli tedeschi obbligazionari sono oramai simili ai rendimenti dei titoli svizzeri, FA SI CHE ALCUNI INVESTITORI MACRO ABBIANO DECISO DI VENDERE EURO E COMPRARE FRANCHI SVIZZERI creando  problemi alla banca centrale Svizzera che si è data da fare a comprare valuta estera per evitare la rottura dell’1,20 . Per i prossimi mesi, in caso di peggioramento dell’economia europea rispetto alla svizzera si apre alla possibilità di portare il limite di rivalutazione del franco a 1,10.

4) La debolezza dell’area euro non ha visto solo i tassi scendere con l’aumentare dello spread fra rendimenti dei titoli usa con i rendimenti dei titoli tedeschi MA HA VISTO ANCHE LA SVALUTAZIONE DELLA VALUTA EURO rispetto al dollaro. Siamo passati da 1,37 di inizio luglio a 1,313 a fine agosto. Più in generale abbiamo assistito ad una svalutazione dell’euro verso la maggior parte delle valute mondiali.

QUINDI POSSIAMO DIRE CHE NE I BASSI TASSI D’INTERESSE NE UN DOLLARO FORTE HANNO AIUTATO L’ECONOMIA EUROPEA E ITALIANA IN PARTICOLARE

5) I dati macro tedeschi sono molto brutti e sottostimati (pensate che il dato del PIL tedesco dovrebbe essere molto più negativo infatti droga e prostituzione sono già stati inseriti nel calcolo in Germania). I dati francesi sono decisamente terribili e quelli italiani.. beh siamo in deflazione in pompa magna sui giornali.

6) la foto sull’Economist di Renzi con il gelato in mano è molto grave e indica che alcuni dei poteri che contano si stanno stancando di un vero e proprio buffone. Personalmente se prima riuscivo a ridere delle cagate che diceva ora mi fa semplicemente vomitare per come prende per il culo i cittadini). Interessanti anche le bordate che arrivano da squinzi, Marchionne e Scalfari… (si rischia di avere la troika a Roma prima di natale).

7) Draghi negli ultimi due anni è stato capace di bluffare. Ha fatto capire che è pronto a un QE ma difficilmente lo mettera’ in atto con i mercati azionari cosi’ forti. Anche perchè pare proprio che la merkellona abbia telefonato a Draghi chiedendo rassicurazioni sul non intervento quantitativo.

8) La situazione in Ucraina è particolarmente difficile. Qualcuno vede degli spiragli ..ma sono forse troppo ottimisti…nel frattempo gli inglesi e mezza Europa sono pronti a nuove sanzioni, il rublo è particolarmente debole e il commercio fra Europa e Russia in caduta verticale (con implicazioni dirette e indirette per la povera Italia). Per  non parlare di un possibile ricatto  a base di gas da parte di Putin.

9) L’acquisto di oro e i continui contratti fra Russia e Cina fatti in rubli mette all’angolo la politica americana e l’uso del dollaro negli scambi internazionali.

10) l’oro al momento è in trading range ma è molto vicino ai massimi dell’anno valorizzandolo in euro (grazie alla forza del dollaro).

11) i mercati azionari Usa sono invece sui massimi e con un dollaro forte…Ma il Pil Usa è previsto in rallentamento.

12) Altre aree geografiche quali LIBIA, ISRAELE, SIRIA IRAQ e non solo sono ogni giorno che passa sempre più CALDE e anche in questo caso il commercio internazionale è in forte rallentamento.

13) Le previsioni di crescita mondiale sono quindi in forte calo, anche se alcuni dati cinesi sono un po’ troppo euforici.

14) Venezuela e Argentina sono oramai dei CASI DA STUDIARE su come impoverire la popolazione senza farla incazzare troppo con una bella svalutazione competitiva. (più o meno quanto accade in Ucraina).

15) Il Giappone è sempre il solito…dati economici pesanti, mercato azionario stabile e yen che si svaluta sul dollaro ma non sull’euro.

16) In Asia l’Hang Seng è sui massimi degli ultimi anni, con una salita repentina proprio da luglio a oggi, ovvero mentre il mercato europeo è diventato poco interessante.(liquidità che vaga alla ricerca di porti sicuri). Stessa cosa per il mercato di Shangai.

17) Molto interessante è il grafico euro remimbi cinese. La forza dell’euro di inizio anno è già rientrata.

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18) una vera sorpresa arriva poi dal Brasile. La borsa carioca è reduce da un rally che definirei anticipatorio. Infatti il mercato brasiliano tocca il massimo da oltre 20 mesi proprio nella settimana in cui il Pil brasiliano è andato in negativo e il Real si sta pure rafforzando sull’euro (pur in presenza di tassi di interesse a due cifre…). Chi mi legge sa che non mi sarei aspettato una tale forza dopo i mondiali di calcio.

QUINDI CHE FARE?

 E’ anche possibile che la discesa dei tassi e la svalutazione dell’euro permettano alle borse europee di continuare il recupero partito dall’8 di agosto, ma al momento VEDO poco valore nel mercato azionario, visto il gelo dell’economia reale in Italia e non solo. Senza contare che Draghi è stato troppo aggressivo o mal interpretato sulla sua politica interventistica , che ha portato le borse a continuare il rimbalzo.

Sono convinto che il dollaro possa indebolirsi nuovamente ( a meno di un continuo peggioramento dei dati macro e della situazione Ucraina) verso area 1,34. Personalmente non smobiliterei gli investimenti in area dollaro perchè credo che un eventuale indebolimento  possa essere solo una occasione per aumentare l’esposizione in area dollaro.

Rimane il dubbio di come l’America possa sostenere una rivalutazione importante della sua moneta in molte aree del mondo senza mettere a repentaglio gli utili delle sue multinazionali, vedremo l’uscita dei prossimi dati su real estate, disoccupazione e bilancia commerciale.

Inoltre i tassi di interesse sono bassi e quindi consiglio di vendere (per chi non lo ha già fatto) i titoli obbligazionari e i fondi obbligazionari. europei e americani. Rimanere investiti nell’obbligazionario dei mercati emergenti che continuano a dare molte soddisfazioni.

Oro e metalli preziosi rimangono un Asset da privilegiare in questa fase in cui le obbligazioni non danno rendimento e le borse sono care.

Sul mercato azionario conviene avere una bassa esposizione e mantenerla. Attenti a possibili disastri ..settembre è il mese giusto (torri gemelle e Lehman) questa volta potrebbe essere un attacco terroristico o ulteriori tensioni internazionali) La liquidità è stata aumentata a fine luglio (cosi come l’oro).