SIETE PRONTI a vivere in un nuovo Medioevo? Preparatevi, perché è quello che ci aspetta.
il XXI secolo assomiglia sempre più al XII, al Medioevo, anche se nessuna analogia è perfetta e la storia pur ripetendosi non è mai uguale a se stessa. Nel Medioevo il pezzo mancante era l’America proprio quella parte di mondo dove oggi si studiano le strategie per affrontare le turbolenze mondiali.
La storia era pre-Atlantica, però altri riferimenti reggono: l’Occidente e l’Oriente allora conosciuti erano entrambi potenti, la dinastia Song in Cina inventava il denaro nella forma cartacea che ancora conosciamo, l’impero indiano del Sud governava i mari dall’Africa orientale all’Indonesia, il modo arabo-islamico era al massimo del suo splendore, dominando dall’Andalusia all’Asia centrale, mentre il Sacro romano impero viveva un periodo di incertezza e instabilità. La globalizzazione in fondo inizia con i viaggi di Marco Polo, muovendo i primi passi del suo cammino in un mondo frammentato.
E oggi a che punto siamo? A partire dal 11 Settembre e dall’ultima crisi finanziaria globale, il quadro è di quelli che fanno tremare i polsi: “Oggi i poteri che ci aspetta mantengano la pace sono i maggiori produttori di armi, le banche che dovrebbero incoraggiare il risparmio promuovono un tenore di vita oltre i propri mezzi e gli alimenti arrivano alle popolazioni affamate dopo che sono morte. Ci stiamo dirigendo verso una tempesta perfetta di consumo di energia, crescita della popolazione e scarsità di cibo e di acqua che non risparmierà nessuno, ricco o povero”. All’elenco si possono aggiungere ancora l’Aids, l’instabilità finanziaria, il terrorismo, Stati a rischio fallimento: “Nel giro di vent’anni potremmo vedere le schermaglie fra America e Cina evolvere in veri conflitti, ulteriori stati deboli crollare, battaglie per il controllo di combustibili e gas nelle profondità marine, popolazioni in fuga dall’Africa centrale, e le isole del Pacifico andare a fondo”.
Per citare Henry Kissinger: “Non si disegna un nuovo ordine mondiale come misura di emergenza. Ma c’è bisogno di un’emergenza per produrre un nuovo ordine mondiale”. Pare che siamo vicini a quel punto. Ipotizzare un asse G2 tra Stati Uniti e Cina è sbagliato: “Ignora il fatto che i due poteri non possono trovarsi d’accordo su moneta, clima, censura e molti altri argomenti e che pochi, nel mondo, vogliono essere governati dagli Usa o dalla Cina”.
Sospetto che la politica e le istituzioni centrali con il tempo conteranno sempre meno. Non è a mio avviso percorribile la strada di un rafforzamento della responsabilità dell’America, né delle Nazioni Unite, «di cui ormai nessuno parla più». Già oggi alcuni personaggi influenti come Bill Gates, Bono, Brad Pitt e Angelina Jolie possono contare più delle grandi organizzazioni: “Ci sono duecento nazioni nel mondo che hanno relazioni fra loro, centomila società multinazionali che negoziano con i governi e fra loro, e almeno 50 mila organizzazioni non governative che intervengono nelle zone di conflitto per fornire assistenza a governi e popolazioni in stato di necessità”. Il futuro non è dunque in grandi istituzioni che rappresentino tutti, ma in organizzazioni più piccole che rappresentino se stesse in contesti “regionali”.
La famosa “interdipendenza”, è molto di più di una parola alla moda, ma contrariamente a quanto si pensa, si tratta di una constatazione e non di una strategia. Una perpetua elasticità, non una governance rigida, è la strada che nazioni, economie e comunità devono perseguire. Funzionerà? Forse.
Il Medioevo, comunque, non è stato solo un’epoca buia, e da lì è sgorgato il Rinascimento. Soccorre un pensiero di Winston Churchill: “Sono un ottimista. Essere qualcos’altro non sembra molto utile”.