LA FINE DI UN’ERA
Cominciano a vedersi i primi effetti della decisione del Regno Unito di uscire dall’Unione Europea, che segna non soltanto l’inizio della fine del processo d’integrazione europea, ma anche un chiaro rigetto dei ceti medi e bassi delle politiche economiche liberiste degli ultimi anni.
Finora non vi sono segnali che confermino le paventate conseguenze nefaste di questo voto sull’economia britannica. La borsa di Londra sta facendo meglio di quelle europee e il deprezzamento della sterlina è destinato ad avere un effetto tonificante sulla bilancia commerciale del Regno Unito.
Anche più a lungo termine le previsioni catastrofiche sembrano totalmente ingiustificate, a tal punto che sia il Fondo monetario internazionale sia un numero crescente di economisti cominciano a fare marcia indietro e a prospettare scenari rosei. Infatti appare già evidente che l’unione europea non sarà in grado di assumere un atteggiamento punitivo nei confronti di Londra. Le trattative per definire i termini del divorzio dureranno a lungo, probabilmente più dei due anni previsti dal trattato di Lisbona, e seguiranno il modello degli accordi bilaterali conclusi dalla Svizzera con Bruxelles, che però contemplano anche una qualche forma di limitazione sulla circolazione delle persone. I segnali distensivi, soprattutto quelli provenienti dalla Germania sono chiari.
Più cupe sono invece le prospettive dell’Unione europea. Le incognite non riguardano solo le consultazioni elettorali di inizio autunno (presidenziali in Austria, referendum sui rifugiati in Ungheria e referendum costituzionale in Italia), ma soprattutto le prospettive economiche. Nel vecchio continente si è riaperta la crisi del sistema bancario. Contrariamente a quanto si possa pensare questa non riguarda soltanto la fallimentare situazione di molte banche italiane, ma soprattutto i problemi di molte banche europee, che finora erano stati occultati nelle pieghe dei bilanci. Per evitare una crisi del sistema bancario italiano, Bruxelles permetterà in qualche modo a Roma di ricapitalizzare le banche in difficoltà facendo così carta straccia delle regole comunitarie entrate in vigore solo all’inizio di questo anno.
Maggiormente rischiose sono le posizioni di quei colossi bancari che il fondo monetario internazionale ha dichiarato presentare un rischio sistemico. Tra queste primeggia tristemente Deutche Bank che ha un’esposizione in strumenti derivati corrispondenti a nove volte il PIL tedesco. Segue (udite udite) l’insospettabile colosso bancario svizzero Credit Suisse, le cui azioni sono scese proprio ieri al di sotto della soglia dei 10 franchi. Ai rischi posti dal settore bancario si aggiungono una crescita che continua ad essere anemica e il mancato rispetto degli obiettivi di bilancio di Spagna e Portogallo. Insomma il voto britannico ha fatto si che si mettesse in moto un processo di disgregazione su un’Unione europea già afflitta da una perdurante crisi economica e dal riaprirsi di una crisi bancaria.
La Brexit ha comunque prodotto dei risultati certi. ad esempio ha definitivamente affossato il trattato di libero scambio transatlantico denominato TTIP, ponendo la parola fine sui tentativi di rilanciare la globalizzazione .
In conclusione, le conseguenze del voto britannico sono destinate ad essere ben diverse da quelle paventate per convincere gli inglesi a rimanere nell’Unione europea. Esse segnano molto probabilmente la fine di un’era economica dominata dai dogmi della globalizzazione e dal predominio della finanza. Insomma segnano un nuovo inizio e non solo per il Regno Unito.