Cominciamo col dire cosa non è più: ovvero, una sovrastruttura derivata dai rapporti di produzione. Oggi, la finanza è – a tutti gli effetti – la struttura stessa del paradigma produttivo. Il risparmio globale è il cuore dell’attuale modello di accumulazione. Grandi capitali allocati in fondi sovrani e non, alcuni dei quali accumulati off shore dalle platform companies, detengono la proprietà di aziende, di rilevanti quote dei debiti sovrani, di brevetti tecnologici o farmaceutici; questi fondi controllano il risparmio privato e tendono a sostituirsi al welfare. Soprattutto in Europa, formazione, trasporti, pensioni non sono più ambiti della vita tutelati dalla titolarità di diritti, bensì sono diventati un terreno di estrazione di valore. Oggi, la ricchezza delle nazioni è in mano ai fondi. La finanza è questo: un gigantesco dispositivo – autogeneratosi – di controllo capillare e pervasivo. Ora i risparmi gestiti seguono strade tracciate, percorsi indicati dalle agenzie di rating e sanciti dagli schemi del benchmarking. È evidente come in un simile quadro stia sfumando la centralità delle banche d’affari. Da più parti si parla una “lingua di legno”, inutile a comprendere le profonde trasformazioni dei mercati finanziari. Il principio del “Too big to fail”, con cui l’amministrazione repubblicana uscì dal credit crunch, è superato. Come superata è una certa retorica militante: la propaganda contro le grandi banche. Attualmente le banche d’affari svolgono una funzione d’intermediazione del rischio ma hanno perso la centralità che detenevano fino alla fine dello scorso decennio. Per non parlare del pubblico come gestore del risparmio privato che ha fallito il suo compito. Mi riferisco a soggetti molto aggressivi, non più legati ai territori. E davanti a una simile realtà, le filiali delle banche ricordano i Blockbuster degli anni Novanta: reperti archeologici di un’epoca passata. E allora le banche cosa stanno facendo ? Stanno disinvestendo dalle attività tradizionali per investire nel risparmio gestito.
E poi c’è la politica monetaria globale che va considerata come il più raffinato strumento di riequilibrio delle crisi e, al tempo stesso, come architrave di un ordine sociale pacificato. La moneta non è più un’astrazione, bensì uno strumento di controllo, garanzia di precisi assetti. Le parole Fiat money, cardine dei diversi Quantitative easing che hanno segnato la più recente stagione finanziaria, costituiscono la formula magica che ci mette al riparo dagli effetti più acuti, e indesiderati, dei cicli economici. E ci consente di distinguere tra Paesi virtuosi e Stati non “allineati”. Il Fiat money, infatti, funziona solo per Paesi credibili, ma la credibilità non è un algoritmo neutro. La credibilità è un algoritmo che ci appartiene.
Tutto Descrive dei congegni capaci di produrre effetti dichiaratamente politici. È lecito chiedersi cosa rimanga a questo punto della democrazia.